John Brunner – La Scacchiera
Un pomeriggio con John Brunner: riflessioni sul libro La scacchiera.
Pensieri intorno alla libertà.
C’era un caldo pazzesco e l’estate mi tormentava. Quando vedo il sole, mi sento sempre male. Incomincio a pensare: forse dovrei stare al mare, forse dovrei uscire e farmi una passeggiata. Chiamare qualcuno. Forse dovrei mettermi a giocare a scacchi. Ma una zaffata d’aria calda mi opprime, sento una forza oscura sprigionare dall’intensità dell’estate profonda e da tutto quel dolce far niente.
La città era come una scacchiera in bianco e nero, i pezzi, i personaggi del dramma, erano mossi da giocatori invisibili. Si sarebbe potuto rovesciare lo scopo del gioco: individuare, guardando i pezzi sulle case bianche o nere, chi li muoveva, i demiurghi che ti dicono dove andare, che cosa fare, come stare al mondo. Chi indovina per primo vince.
Silvio Diaz non aveva capito bene che ruolo gli fosse stato assegnato ma una cosa sembrava certa: facendo una mossa sbagliata sbagliata sarebbe stato un povero pedone votato al sacrificio per la vittoria finale di un re sconosciuto.[1]
Enrico Pili
C’era un caldo pazzesco e l’estate mi tormentava. Quando vedo il sole, mi sento sempre male. Incomincio a pensare: forse dovrei stare al mare, forse dovrei uscire e farmi una passeggiata. Chiamare qualcuno. Forse dovrei mettermi a giocare a scacchi. Ma una zaffata d’aria calda mi opprime, sento una forza oscura sprigionare dall’intensità dell’estate profonda e da tutto quel dolce far niente.
Mi sedetti sulla poltrona più comoda della casa, momento di goduria maggiorato dal fatto che nel mio modesto monolocale milanese non mi permetto certo lussi analoghi. Accesi il giradischi. Partì, quasi senza chiederlo, il disco numero due delle opere per pianoforte solo di Liszt. Le rapsodie ungheresi, che magnifico lampo di genialità! Ma dopo un po’, fu il sudore a prevalere sulla musica, quella sgradevole sensazione di appiccicaticcio in mezzo alla mente e alla pelle. Evidentemente, ascoltare non bastava.
Decisi di leggere qualcosa. Giravo per la casa in cerca di passatempi letterari. Prendevo in mano copertine ingiallite, logore, nuove, intonse, disegnate, sfasciate, colorate, bianche e nere… ecco! Un libro dal titolo accattivante, edizioni Urania: La scacchiera.
Non potendo giocare a scacchi per ragioni pratiche, decisi di appagare la mia immaginazione almeno quel tanto che bastava per mettere tra parentesi il caldo e quel senso di vacuità che l’estate mi porta sempre sotto il naso.
Si trattava di un libro vecchissimo, effettivamente, la cui storia era curiosa. Mio padre, appassionato scacchista dilettante, aveva sentito parlare di un libro leggendario di fantascienza nel quale in uno stato immaginario dell’America latina, l’Aguazul, ogni persona svolgeva, a sua insaputa, il ruolo di un pezzo degli scacchi. Per questa ragione, decise di andare a cercare il volume in libreria, mio padre, infatti, tendeva a comprare i libri. Ma non era più in deposito e non si ristampava da qualche decennio. Così si spinse oltre il suo orizzonte usuale e andò dritto dritto in biblioteca ma nessuno aveva mai sentito parlare di questo tomo. Ne parlò con alcuni altri amici, appassionati di scacchi o di fantascienza, ma nessuno fu capace di dare soddisfazione alla sua curiosità, se non con qualche ulteriore aneddoto. Alla fine, decise di partecipare ad una nota trasmissione di Radio tre Fahrenheit, nella quale i lettori dei libri più impensabili venivano messi a contatto con persone che cercavano tomi introvabili. Mio padre provò. Fu un giorno strano, quello. Arrivò la telefonata dello speaker radio e, alla fine, un gentile signore inviò il libro al mio vecchio. Ciò avvenne nel 2007. Due anni dopo mio padre scrisse Prima che passi la notte, libro nel quale molti temi brunneriani fanno capolino, inframezzando gli scacchi alle vicende narrate. I due appassionati lettori si ritrovarono e, da quel momento, fu il principio di una breve amicizia perché mio padre ricevette, per una piccola cappella, scacco matto dalle forze cosmiche.
La storia del libro è una trasposizione della partita tra Cigorin e Steiniz, giocatasi all’Havana nel 1892. Con mio rammarico, non sono riuscito a scoprire di quale partita si trattasse e mi è stato impossibile ricostruire la partita, nonostante le intenzioni dell’autore, John Brunner.
L’idea chiave dell’intero romanzo è, sostanzialmente, questa: gli uomini possono essere governati e controllati dalle forze politiche in modo tanto pervasivo e rigido da essere in tutto riducibili ai singoli pezzi degli scacchi. Il conflitto tra libertà individuale e le forze coercitive è, secondo Brunner, del tutto a sfavore della libertà:
La gente “è” controllata – risposi. –Scusi, l’uomo che al mattino si reca con la metropolitana al lavoro non ha maggior controllo sopra le proprie azioni di… be’, di un pezzo degli scacchi su una scacchiera! Poiché deve guadagnarsi lo stipendio, deve recarsi al lavoro… entro stretti limiti. Gli piace, che so, incontrare gente e chiacchierare? Bene, farà il rappresentante di commercio. Disgraziatamente, il prodotto si vende male. La sua famiglia soffre la fame, ed ecco che lui si adatta ad accettare un lavoro che detesta. Quali alternative ha? Potrebbe addirittura smettere di lavorare, ma non lo farà, se ha una famiglia da mantenere. Potrebbe tagliarsi la gola: a volte qualcuno lo fa. Ma è cattolico, il suicidio è un peccato mortale. E perciò eccolo là, su quel treno della metropolitana sempre alla stessa ora come chiunque altro.[2]
L’uomo è guidato nella vita da una somma limitata e definita di interessi materiali, imposti dalla sua stessa natura e da bisogni indotti dalla socialità. Per tanto, egli deve fare qualcosa per sopravvivere e s’industria in tutti i modi per ottenere quelle qualifiche che lo giustifichino agl’occhi del mondo e di sé stesso. Brunner, però, sembra dimenticare questo secondo punto, così importante, che spiega bene perché tante persone, ad esempio, sentano la necessità di giocare a scacchi per vincere: la vittoria li giustifica dello sforzo, la vittoria li sopraeleva rispetto alla condizione naturale dell’esistenza che, di fatto, è così totalmente neutra che, per l’uomo, risulta insopportabile ma, soprattutto, gli dà una qualifica positiva rispetto alla quale si giudicheranno e giudicheranno gli altri.
L’idea veramente interessante del romanzo di Brunner risiede nella concezione secondo cui le persone, proprio in quanto condizionate dagli stessi interessi materiali e ideali, si comportano, in modo massivo, allo stesso modo che le molecole di un fluido: si può progettare il traffico perché, tendenzialmente, si può assumere che gli automobilisti seguiranno le direttive delle regole della viabilità, perché saranno di più in certi momenti della giornata e avranno la tendenza a comportarsi in determinati modi rispetto alle reazioni degli altri. Questo rende possibile la pianificazione di ciò che, in apparenza, dovrebbe essere qualcosa di imponderabile: se il comportamento degli individui è imprevedibile, dovrebbe esserlo anche il comportamento globale del sistema. E invece no!
Queste considerazioni ci riportano, in qualche modo, alla concezione hegeliana della storia, dove la totalità degli individui si costituisce in un ordine sempre più razionale, una filosofia della storia profondamente ottimistica che ha un diretto corrispettivo nella fantascienza: Asimov concepisce una versione provvidenzialistica del destino dell’umanità, in quanto inconsapevolmente guidata dalla previsione della psicostoria, scienza storico-sociale in grado di guidare l’umanità verso il meglio.
Psicostoriografia… Gaal Dornick, servendosi di concetti non matematici, ha definito la psicostoriografia come quella branca della matematica che studia le reazioni d’un agglomerato umano a determinati stimoli sociali ed economici… E’ implicito in tutte queste definizioni che l’agglomerato umano in questione deve essere sufficientemente grande da consentire valide elaborazioni statistiche. Le dimensioni minime che l’agglomerato possono essere calcolato con il primo Teorema di Seldon che dice… Un ulteriore assunto è che la comunità esaminata deve essere, essa stessa, all’oscuro dell’analisi psicostorica affinché le sue reazioni siano assolutamente istintive…
La base di ogni scienza psicostoriografica valida è nello sviluppo delle Funzioni Seldon che conferiscono proprietà analoghe a quelle forze sia economiche sia sociali che…[3]
Brunner sembra riprendere questo tema, postulando che abbia letto il famoso ciclo della fondazione di Asimov (la cui uscita iniziò nel 1951). E, non a caso, anche in Brunner si dà una sorta di scappatoia all’individuo:
– Ma…, se c’è da credere a quello che lei dice, se, dati il tempo e le informazioni necessarie, uno può manovrare gli individui con la stessa facilità con cui lei prevede il comportamento di una folla che si affretta a prendere un treno, be’, non resta più speranza per nessuno. Salvo quella di essere una delle persone che raccolgono e sfruttano i dati, piuttosto che… che una delle vittime.
– No, no. Esiste un modo talmente semplice d’interferire nel processo, che questo non potrebbe mai diventare una realtà.
– E come? Lei ha detto proprio l’opposto!
– Be’, l’esempio me l’ha fornito lei stessa. Quando mi ha mostrato come veniva usata la televisione per immettere idee nella testa dei vadeani, io ho smesso semplicemente di guardarla. Crede che uno scacco, se fosse dotato di cervello pensante e conoscesse le regole del gioco, se ne starebbe passivamente nel suo riquadro, ad aspettare di essere mangiato? Non credo, sa. Scivolerebbe quatto quatto verso un’altra casella più sicura, approfittando di ogni attimo di distrazione dei giocatori. No, il genere di sistema assoluto di cui parlavo non potrebbe mai funzionare, a meno di non essere tutti all’oscuro di quello che sta avvenendo. Esternamente, non ci sarebbe nessun cambiamento nella vita quotidiana. Lei, io o quel cameriere laggiù continueremmo tranquillamente a mangiare, bere, dormire, innamorarci o fare indigestione come sempre. Perciò, dove starebbe la differenza? Forse, un sistema così è già in atto.. ma come possiamo saperlo? Siamo come pedine su una scacchiera: pedine che conoscono le regole e la situazione del gioco, ma preferiscono fingere di non saperle perché non hanno le gambe, e quindi non possono spostarsi dai loro quadratini, a meno che non vengano mosse.”[4]
La conoscenza, dunque, del controllo apre la possibilità di un’alternativa a ciò che, altrimenti, non sarebbe nient’altro che una cieca necessità. Asimov, d’altra parte, sottolinea lo stesso fatto e, per tanto, la sua provvidenzialistica scienza psicostorica potrebbe funzionare solo a condizione che nessuno sia a conoscenza del progetto: “Un ulteriore assunto è che la comunità esaminata deve essere, essa stessa, all’oscuro dell’analisi psicostorica affinché le sue reazioni siano assolutamente istintive”.
Seguendo Brunner e Asimov, possiamo trarre questa conclusione: in un universo i cui eventi sono determinati da cause, a loro volta determinate da altre e così via, non ci sarebbe alcuno spazio per la libertà individuale. Se un governante, capace di controllare e indirizzare le aspettative di vita e comportamento degli individui, avesse abbastanza potere, allora la vita di ciascuno sarebbe irrimediabilmente coatta (non-libera) a condizione che nessuno lo venga mai a sapere. C’è, dunque, una doppia faccia: da un lato, gli eventi sono puramente determinati da cause, ma, per essere controllate, devono essere sempre prevedibili. E’ l’imprevedibilità dallo schema che consente di pensare alla libertà individuale. Ma è proprio così?
Brunner sembra sostenere proprio il contrario perché anche l’imprevedibilità non sembra essere una condizione sufficiente per conseguire la libertà individuale. L’autore crede profondamente che la persona sia libera solo se ha possibilità di scegliere. Non solo. E’ convinzione profonda di Brunner che la vita umana sia solamente un surrogato, se non è libera. Per questo l’autore mette in bocca a Maria Posador le accuse di disfattismo cosmico contro le idee del protagonista.
Un pedone non è libero, perché è determinato, nel suo comportamento, ad agire. Ammettiamo che si dia il caso di un pedone capace di pensare. Egli sarebbe, per ciò, libero? Sicuramente, un pedone incapace di pensare non lo sarebbe. Quindi, una delle condizioni della liberta è il pensiero. Però, se mi danno scacco e ho solo una possibilità per evitare il matto, dovrò per forza giocare una sola mossa: in questo caso, ero costretto ad agire in questo modo. Ero libero?
Bisogna distinguere due concetti diversi di libertà: la libertà di fare qualcosa e la libertà da qualcos’altro. La libertà di fare qualcosa non è condizione necessaria per essere liberi: un pedone è libero di andare in una casella a patto che quella casella sia vuota. Ma questo non ci fa dire che il pedone fosse libero di andarci! Se il pedone si è mosso, non è certo perché l’ha desiderato! Nonostante certe pubblicità di tendenza, sembra che l’esser liberi di non sia che l’apparenza della verità o una sua manifestazione. Essere liberi da qualcosa è ciò che ci consente di poter fare proprio quello che volevamo. Dunque, si può essere liberi di fare qualcosa solo quando si è liberi da molte cose, cioè quando si è liberi da costrizioni esterne.
Torniamo al libro di Brunner. Il protagonista sostiene che se ci fossero dei governanti sufficientemente potenti, allora l’uomo non sarebbe più libero, esattamente come un pezzo degli scacchi. Infatti, le azioni degli individui sarebbero irrimediabilmente prevedibili e, dunque, indirizzabili a piacere. E, tuttavia, questo non li renderebbe meno liberi! Il problema consiste nella confusione tra uno sguardo, per così dire, impersonale e uno personale: quando siamo nel traffico, non ci stiamo semplicemente illudendo di essere liberi perché cerchiamo la strada meno trafficata. Se, però, guardiamo un’altra persona diremmo: “Ah, quello ha svoltato a destra perché era costretto dal traffico”. Ma era davvero così? Il problema, come si vede, è lo sguardo, il punto di vista. Quando parliamo di qualcuno in terza persona, generalmente, lo trattiamo come un pedone: gli diamo delle giustificazioni oggettive per il suo movimento (non poteva che andare lì, sarebbe potuto andare di là però era più logico quello che ha scelto, ha sbagliato perché…). Quando parliamo in prima persona, invece, cerchiamo delle giustificazioni razionali (se siamo razionali)[5] per dire ciò che abbiamo fatto.
Adesso, prendiamo sul serio il parallelo degli scacchi. Immaginiamo di star giocando una partita a scacchi viventi e noi stessi siamo davvero delle figure. Immaginiamo, ancora, di essere assolutamente vincolati a fare ciò che facciamo, ad esempio, la scacchiera è un campo minato nel quale, se non si fa ciò che si deve, scatta un ordigno e ci ammazza: questo è un buon motivo per stare alle regole del gioco! Benissimo. A questo punto potremmo dire di essere dei veri pezzi degli scacchi pensanti! Secondo Brunner, non saremmo affatto liberi: siamo controllati e determinati ad agire come vogliono gli altri. Giusto. Ma se decidessimo di voler stare alle regole del gioco e di effettuare tutte quelle mosse proprio in quanto le vogliamo fare? Saremmo liberi di farlo e pensarlo, indipendentemente dal fatto che gli altri ci dicano di farlo. La condizione fondamentale per essere liberi è cercare di assecondare la realtà in relazione al proprio pensiero. Dal punto di vista individuale, ciò che conta è l’autodeterminazione, cioè la volontà di prendere una determinata decisione in base alla propria ragione. Un pedone sa che le regole del gioco lo limitano nel movimento e che la sua volontà è limitata. L’errore che un pedone potrebbe fare è quella di desiderare di essere una donna e cercare di “vivere” come una donna. Egli sarebbe irrimediabilmente costretto ad agire in base alle sue sole possibilità e, in questo, sarebbe effettivamente non-libero. Ma se il pedone si rende conto di ciò che è, allora desidererà di fare solo ciò che può fare. Infatti, potremmo desiderare di infrangere la legge di gravitazione universale, aprire la finestra e svolazzare ma solo con l’immaginazione. Non si può veramente desiderare l’impossibile, se ci si rende conto che è effettivamente tale. L’immagine metaforica del pedone ha un corrispettivo molto concreto: gli eserciti sono costituiti da uomini che, d’altra parte, devono attenersi agli ordini, se vogliono vincere tutti assieme la battaglia. I singoli soldati sono liberi, non di qualunque cosa, ma di ciò che possono fare, all’interno delle regole. E così pure l’impiegato di banca, delle poste, della scuola, degli ospedali. Siamo tutti dei pedoni che stanno alle regole del gioco, ma dipende da noi e dal nostro pensiero, se essere dei pedoni anche nella mente, questo non è scritto nelle regole del gioco.
Ma, allora, siamo interamente determinati dalla nostra natura a fare ciò che facciamo? Noi, a differenza del pedone, possiamo ampliare la nostra libertà con la conoscenza del mondo e di noi stessi. Ampliare le nostre conoscenze del mondo ci rende più liberi: perché cerchiamo di imparare quante più cose possibili a scacchi? Per avere più possibilità, più alternative, più scelte e avere dei vantaggi proprio da questo: la conoscenza, dunque, amplia la nostra libertà proprio perché ci scongiura dal desiderare di essere dei cavalli quando si è una torre e perché ci dice quanti passi possiamo fare (se siamo una torre). Anand è sicuramente molto più libero di me, nel gioco degli scacchi (nella vita non saprei): in apertura io gioco solo una mossa col bianco e non perché non potrei, in linea di principio, giocarne almeno altre tre, ma perché i miei gusti, parzialmente giustificati dalle maggiori conoscenze nell’apertura di donna, mi inducono a scegliere sempre e solo una mossa. Sono libero di giocare 1) d4, ma molte possibilità mi sono precluse proprio perché le ignoro. Viceversa, Anand senz’altro è molto più libero di scegliere l’apertura che preferisce perché ha una conoscenza decisamente maggiore della mia.
Il libro di Brunner è, naturalmente, un libro di fantascienza e, come tale, è l’immagine e l’idea ad essere interessante, più che la coerenza filosofica. L’unico rammarico che si può avere, è che Brunner fosse meno “scacchista” di quanto fosse “scrittore” e che la sua immaginaria partita trasposta funziona solo a patto di essere ingenui neofiti e non qualcosina di più! Però, proprio per la sua ingenuità scacchistica, Brunner, evidentemente coinvolto all’interno di quei pregiudizi diffusi che vogliono che gli scacchi siano un gioco per un’elite sceltissima, ma, da uomo e scrittore intelligente arriva da solo a sconfessare i propri preconcetti (una delle condizioni di ampliamento della propria libertà), così descrive il mondo dei giocatori di scacchi:
Un timido applauso, subito zittito, segnò presumibilmente un’abile mossa di Garcia. Ma a me interessava più il pubblico che il torneo. Chi erano quegli appassionati di scacchi? Sembrava che tutti gli strati sociali di Vados fossero presenti. Nei posti popolari, dai quali era difficile vedere i tavoli, tanto che le mosse venivano seguite sull’apposito cartellone, sedevano operai, massaie sferruzzanti e perfino ragazzi. Dai posti di lusso, dai quali si vedeva perfettamente il tavolo più interessante (quello di Garcia, s’intende [il campione della nazione N.d.r]) sedevano signori in marsina e signori in abiti da sera. Già, tanto i ricchi che i poveri, tanto i bianchi che i neri…[6]
L’unico gioco veramente per tutti, volenti o nolenti, liberi o costretti, tutti amiamo giocare a scacchi!
Bibliografia
Asimov I., (1951), Trilogia della fondazione, Mondadori, Milano, 2004.
Brunner J. (1965), La scacchiera, Mondadori, Milano, 1969.
Cassano R., Rivista di scacchi!, N. 32. Aprile 2009
Dennett D., La coscienza, che cosa è, Laterza, Roma-Bari, 2009.
Poe E. A., Il giocatore di scacchi di Maelzel, SE, Milano, 2009.
Pili G., Il giocatore di scacchi di Maelzel, Rivista di scacchi, n. 33.
Pili G., 2001, Filosofia negli scacchi, Scacchitalia, 2010.
Pili G., Tutto semplice, Rivista di scacchi, n. 25.
Pili G., Forse l’abbiamo fatta troppo semplice, Rivista di scacchi, n. 26.
Pili G., Accidenti, il tempo!, Rivista di scacchi, n. 27.
Pili G., Maestro, perché gli scacchi sono così complessi?, http://soloscacchi.altervista.org/, 29 gennaio 2011.
Pili G., Neuroeconomia scacchistica, Rivista di scacchi, n. 28.
Pili G., Sentimenti che ruotano attorno ai software che giocano a scacchi, Rivista di scacchi, n. 28.
Pili G., Siamo tutti una stessa gente, Rivista di scacchi, n. 29.
Sericano C., Storia degli automi scacchistici: il Turco, http://soloscacchi.altervista.org/.
Standage T., Il Turco, La vita e l’epoca del famoso automa giocatore di scacchi del Diciottesimo Secolo, http://www.federscacchi.it/.
[1] Pili E., Prima che passi la notte, Scuola Sarda Editrice, Cagliari, 2009, p. 66.
[2] Brunner J. (1965), La scacchiera, Mondadori, Milano, 1969.
[3] Asimov I. (1951), Trilogia della fondazione, Mondadori, Milano, 2004, p. 16. Corsivo mio.
[4] Brunner J. (1965), La scacchiera, Mondadori, Milano, 1969, pp. 212-213.
[5] Io, ad esempio, ci provo…
[6] Ivi., p. 219.