Accademia Scacchi Milano

Gli scacchi nel cuore di Milano

Iniziative

Il Sole a Scacchi: Intervista a Francesco Gervasio

sole a scacchi«Presidente, quando è iniziata l’attività di Accademia nelle carceri?» «Nel 2008 presso la casa circondariale di Bollate. E’ un carcere all’avanguardia del circondario di Milano che offre ampio spazio all’intervento di operatori sociali che collaborano con i detenuti nella gestione delle attività. Organizza attività teatrali, laboratori di vario genere fra cui una falegnameria, un corso di cucina, scuderie con cavalli. Proponemmo un corso ed un torneo finale che ci fu concesso, anzi, ci fu chiesto di ripetere entrambi ed avemmo un’adesione di quaranta-cinquanta ospiti.» «Chi erano gli istruttori direttamente impegnati nel progetto?» «Io stesso, Elia Mariano ed Andrea Bracci. Ricordo che potemmo organizzare un incontro fra la squadra di Accademia e la squadra del carcere: dieci giocatori per parte. Fu un’esperienza molto significativa.» «Avete operato in altre strutture?» «Nel 2011 fummo chiamati a San Vittore ed offrimmo corsi di scacchi ma la situazione era meno favorevole, stante il sovraffollamento della struttura che poteva metterci a disposizione pochi spazi. Ricordo che operavamo in un locale piuttosto angusto che sarebbe stato poi trasformato in una biblioteca. Ma andò comunque bene: avevamo una ventina di allievi, molto attenti e molto motivati. Lo staff era composto da me, da Fabrizio Bellia e da Elia Mariano. Lavorammo a San Vittore per due anni e riuscimmo a proporre anche due corsi di fine anno.» «So che recentemente avete operato anche ad Opera. Puoi raccontarmi in che modo e con quali prospettive?» «Alla casa circondariale di Opera abbiamo organizzato un torneo in due giornate consecutive. E’ stato il mese scorso e si è potuto operare grazie al contatto con un nostro socio, Diego Imbesi e ci abbiamo lavorato io ed Elia Mariano. La partecipazione è stata buona: ventidue giocatori. Ci auguriamo che non sia stata un’esperienza sporadica perché mi piacerebbe proporre un’attività continuativa anche ad Opera.»

«Aspetti positivi ed aspetti negativi dell’esperienza di Accademia nelle carceri: è possibile riassumerli?» «Gli aspetti positivi sono molti: l’entusiasmo con cui i detenuti partecipano alle lezioni ed ai tornei è palpabile. Per loro si tratta di un’attività che li svaga, li rilassa ma tiene anche impegnata la mente e combatte la noia e l’alienazione delle giornate sterili. Mi ha molto colpito il rispetto che nutrono per gli istruttori che è lo stesso per i volontari: si rendono conto che queste persone dedicano a loro ore della giornata e sono riconoscenti. Portano sempre grande rispetto: non abbiamo mai avuto esperienze negative di alcun genere. Sono momenti che scorrono piacevolmente. Da Bollate alcuni detenuti sono venuti a trovarci in Accademia dopo il rilascio o durante un permesso ed il ragazzo sudamericano che ha vinto il torneo ad Opera ha assicurato che passerà da noi anche solo per salutarci. Considero l’esperienza pienamente positiva e “facile”: le uniche vere difficoltà sono quelle imposte dal regime carcerario. Ad esempio, abbiamo sempre avuto l’impressione che le condizioni di vita siano più dure per gli operatori di sicurezza (secondini) che per i carcerati. Il loro lavoro, basato sulla ripetitività alienante di azioni all’apparenza inutili è altamente usurante dal punto di vista psicologico. Arrivano a provare una sorta di invidia per i carcerati che hanno la possibilità di seguire corsi di scacchi e di giocare tornei, mentre loro sono costretti a sorvegliare, vigilare, restare fermi in attesa. A questo proposito, avevo proposto di organizzare degli incontri sulle scacchiere anche per i secondini ma la proposta non ha avuto seguito, complice anche il fatto che, terminato il loro lavoro, questi ragazzi non vedono l’ora di lasciare la struttura e di tornare alle loro case. Un’altra difficoltà è organizzare didatticamente i corsi: chiunque è interessato può parteciparvi e questo porta, ovviamente, a disparità anche notevoli nel livello di gioco e di conoscenze dei partecipanti. Eppure, esiste un risvolto positivo: fra loro si aiutano, in una sorta di “accademia interna” di solidarietà in cui le competenze passano dal più esperto al meno esperto. Un problema, seppur facilmente risolvibile, è l’impossibilità di portare all’interno delle strutture carcerarie pezzi piombati o scacchiere rigide: occorre optare per pezzi leggeri e scacchiere avvolgibili. Nelle carceri con problema di sovraffollamento, anche la dimensione delle scacchiere conta: meglio optare per set di piccole dimensioni poiché spesso anche i tavoli (ed i locali) sono piccoli.» «Una volta terminata la lezione, devono attendere la successiva per poter giocare ancora?» «No, affatto. Lasciamo sempre una decina di giochi a disposizione dei carcerati. Ed i tornei che organizziamo, sono sempre “tornei a bilancio negativo”, alla fine dei quali il conto dei pezzi riposti nei sacchetti è inferiore ai pezzi schierati inizialmente sulle scacchiere….» mentre lo dice, Gervasio sorride e si capisce che il rammarico non è grande. «A San Vittore» prosegue «abbiamo lasciato dei giochi per ogni raggio. Abbiamo fornito anche delle riviste di scacchi per la biblioteca. Ai premi del torneo ha pensato, invece, un’Associazione di volontariato che ha offerto tre cesti gastronomici ai primi tre classificati. E’ lodevole: operano gratuitamente all’interno della struttura…come noi, del resto. Una delle difficoltà organizzative di san Vittore è che si tratta di una struttura dove molte persone vengono trattenute in attesa di giudizio. Restano, quindi, poco e possono usufruire solo parzialmente dei corsi. Più stabile è la situazione di Bollate in cui le persone arrivano da altre strutture, spesso trasferite nel carcere modello per buona condotta.» «Immagino che tante etnie differenti siano ospitate in queste strutture: chi sono i più bravi a scacchi?» «Sono tutti molto interessati. Devo dire che, laddove si trovino Italiani che sanno giocare, sono davvero forti. Solitamente, però, la parte del leone la fanno i detenuti provenienti dall’Est-Europa (Albania, Serbia, Macedonia). Molto motivati sono i Sudamericani ed abbiamo anche tanti Nordafricani che, però, digeriscono assai male la sconfitta: sono, infatti, molto orgogliosi.» «Quali e quanti progetti futuri sono in cantiere?» «Il mese scorso ho avuto un contatto presso il C.A.M.M. per prendere contatto con la Direttrice del Beccaria (carcere minorile). Vorrei proporre un corso per questi giovani anche se so che restano ospiti per poco tempo. Io auspico un progetto che coinvolga le quattro carceri (tre del circondario di Milano con Opera) e che faccia capo ad una persona di riferimento del Comune di Milano. E’ fondamentale poter contare sull’appoggio istituzionale dei Comuni coinvolti. Esistono dei bandi specifici a cui afferire ma attualmente non è uscito e non sta uscendo nulla. Vorrei fare di più per i reclusi ma occorrerebbe avere un canale istituzionale preciso a cui rivolgersi. Fino ad ora, Accademia ha potuto entrare nelle carceri grazie agli assistenti sociali che ci hanno contattato su espressa richiesta dei detenuti. Spendo una parola di plauso per questi operatori che aiutano e coadiuvano i nostri interventi didattici.» «Possiamo chiudere con qualche aneddoto?» «Rammento che il primo contatto con il carcere di Bollate lo ottenemmo grazie ad un giudice in pensione che operava come volontario allo sportello giudiziario interno al carcere. Un giorno espresse una sua personale considerazione: “Quando ero giudice, facevo di tutto per mandare questi ragazzi in galera; adesso che sono in pensione, faccio di tutto per farli uscire!” Ricordo poi un ospite di Napoli che aveva il permesso per lavorare all’esterno del carcere. Mi avvicinò e mi disse: “Guardi qui la mia busta paga! Adesso ho vitto e alloggio gratis, ho un lavoro e posso pure spedire qualcosa a casa…se esco, poi come faccio a sfamare la mia famiglia?” Un giorno, mentre uscivo dal carcere, sono stato scambiato per un recluso che tentava la via della fuga e sono stato “intercettato” con decisione: è stata un’esperienza intrigante che mi ha fatto comprendere il valore della libertà personale. Ricordo poi con grande piacere la giornata in cui organizzammo l’incontro a squadre fra Accademia e gli ospiti di Bollate: trovammo sui tavoli bottiglie di bibite e dei grandi cabaret di pasticcini che erano stati preparati internamente dagli ospiti addetti al laboratorio di culinaria e pasticceria. Fu una merenda indimenticabile.»

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