La regina degli scacchi (The Queen’s Gambit)
Segnaliamo, per chi ancora non lo sapesse, l’interessante mini serie televisiva, in sette puntate, su Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Walter Tevis del 1983, che vede l’attrice Anya Taylor-Joy nei panni della protagonista Elizabeth Harmon.
Racconta la storia di una bambina che impara a giocare a scacchi dall’anziano custode dell’orfanotrofio in cui si trova. E in seguito parteciperà a tornei di scacchi.
Siamo negli anni ’60, durante la guerra fredda, in un periodo in cui il gioco degli scacchi non era così diffuso, e il livello dei praticanti era molto più basso. Gli orologi avevano le lancette, e il tempo di gioco dei tornei principali prevedeva due ore per quaranta mosse, dopodiché la partita veniva aggiornata, e ripresa in una nuova sessione, spesso il giorno successivo. Non c’erano i computer, non c’era internet e l’unico modo per conoscere quello che succedeva nel mondo degli scacchi erano riviste di settore vendute nelle edicole.
Gli scacchi sono parte fondamentale della storia e sono stati resi particolarmente bene: non solo le scacchiere, quando vengono inquadrate, presentano situazioni corrette (ben sappiamo come spesso e volentieri le scacchiere vengano visualizzate con orientazione non corretta o pezzi disposti male o addirittura a caso), ma le partite giocate e le posizioni raggiunte sono decisamente significative anche dal punto di vista tecnico.
La consulenza che Garry Kasparov e Bruce Pandolfini hanno fornito alla produzione, ricercando e adattando alla trama partite vere e mosse significative, è stata eccellente. E siccome noi scacchisti siamo in grado anche di apprezzare questo aspetto, non mancherò nei prossimi giorni di pubblicare le partite che sono state giocate nel corso della serie.
Ma se l’aspetto tecnico della produzione è stato curato nei più minimi dettagli, come al solito non si può dire altrettanto del doppiaggio in italiano, nel quale chi lo ha adattato ha ancora una volta manifestato la propria ignoranza in materia di scacchi e una vergognosa sciatteria per non aver neppure pensato di ingaggiare qualunque ragazzino frequentatore di circolo per farsi dire come rendere in gergo scacchistico italiano alcune terminologie.
E così ci siamo dovuti inorridire all’ascolto di parole come “inchiodamento“, o “rinuncio” al posto di “abbandono“, senza contare l’orrendo mischione di notazione delle mosse, un po’ algebrica, un po’ descrittiva, nello stesso dialogo.
Eppure era partito tanto bene, con l’anziano custode che dialoga con la bambina e dice:
“Cavallo f3”.
“Che cos’è f3?”
“È il nome della casa.”
“Le case hanno un nome?”
Ma poi, molto più avanti, in una conversazione tra due giocatori che analizzano, saltano fuori i pedoni in re quattro e i cavalli in alfiere tre, mischiati magari ad alfieri in b5, nella stessa frase. Sciatteria allo stato puro.
Vuoi mantenere la notazione descrittiva? Benissimo! Ma usala nel modo giusto, visto che è nata in Italia. In italiano si dice “Pedone in quarta di re” non “Pedone re quattro“. E se la usi, usala sempre. Si chiama “uniformità di registro.”
Doppiaggio a parte, la serie merita veramente di essere vista, e ve lo dice uno che ha una avversione malcelata per le serie televisive. Godibile e avvincente anche per chi gli scacchi non li conosce proprio. E magari imparerà a conoscere il nostro mondo proprio grazie a questa serie.